L’illuminazione musei deve essere solo funzionale o può essere anche decorativa?
Relativamente alle opere materiali dell’uomo considerazioni sui concetti di “mostrare” e di “fruire” hanno attraversato un po’ tutta la storia della filosofia e spesso si è data per scontata l’azione fondamentale che rende possibile il legame tra i due: illuminare.
Effettivamente, fino al secolo scorso, il ruolo rivestito dalla luce era principalmente di tipo funzionale, ma con l’utilizzo diffuso della luce elettrica le peculiarità estetiche e comunicative del fenomeno luminoso, fino ad allora parzialmente riconosciute e sfruttate solo in campo artistico, divengono di pubblico dominio: non è più la suggestione dell'”oggetto fiamma” ad essere apprezzata, ma “l’effetto” prodotto dal filamento incandescente che oggi è sostituito dalla Luce dei Diodi Elettro-luminosi o più noti LED.
Da questo punto in poi la creatività e la fantasia trovano un nuovo mezzo espressivo: la luce. Il “come”, il “perché” e il “quando” illuminare divengono questioni più urgenti, più complesse, più stimolanti che dovrebbero essere affrontate nella loro totalità da una analisi tecnico-scientifica e storico-filosofica troppo ampia per essere accolta in questa sede, inoltre, per proseguire in tale dissertazione è necessario considerare risolti i problemi tecnici diversi da quelli strettamente luministici, perché, se si volessero valutare tutte le problematiche relative alla realizzazione di un impianto illuminotecnico in ambienti espositivi ci si dovrebbe addentrare in discipline scientifiche che vanno trattate in altri ambiti, per cui, ciò che segue è una personale riflessione che ha l’ambizione di fornire uno spunto per studi e ricerche approfondite che, a mio avviso, l’argomento merita.
Prima di entrare nello specifico della trattazione è bene ribadire alcune “tipologie primarie” in cui una generica illuminazione si può scomporre.
Illuminazione Musei Funzionale
E’ l’illuminazione che ha delle caratteristiche fotometriche idonee a rendere otticamente visibile nel miglior modo possibile l’oggetto esposto. Al di fuori dell’ambito strettamente espositivo, l’illuminazione funzionale viene utilizzata affinché le eventuali operazioni da svolgere nell’ambito di attuazione, abbiano la idonea qualità e quantità di luce.
Illuminazione Musei D’accento
L’illuminazione d’accento serve ad attrarre l’attenzione su un oggetto o su uno spazio e si attua attraverso un contrasto di illuminamento o cromatico per cui interessa una piccola porzione del campo visivo.
Illuminazione Musei D’ambiente
Ha lo scopo di rendere confortevole il luogo dell’esposizione.
In un museo si può immaginare anche come quella che, insieme ad eventuali apparati scenografici, è in grado di contestualizzare l’oggetto, assumendo l’accezione di ambientazione.
Illuminazione Musei Decorativa
Si vuole definire “decorativa” o “d’effetto” l’illuminazione che ha esclusivamente lo scopo di rendere più gradevole la visione dello spazio. Essendo svincolata da funzioni pratiche, si può dire che è un’illuminazione che esiste per se stessa.
Esaminando gli ambiti espositivi si possono identificare due fondamentali contesti, l’uno di tipo “commerciale”, l’altro di tipo “culturale/educativo”.
Nel contesto commerciale si possono associare gli oggetti di uso comune, caratterizzati da una produzione industriale di tipo seriale; i luoghi destinati all’esposizione di tali oggetti possono essere i più disparati: dalla vetrina del negozio alla “sala mostra” della fabbrica; dallo stand fieristico alla rivendita ambulante.
Tali oggetti sono valutati in base alle specifiche caratteristiche di funzionalità, durata, costo, ecc.
In questo contesto l’esposizione ha lo scopo di rendere appetibili le merci e consentire all’attività commerciale una maggiore redditività economica.
Del contesto espositivo culturale/educativo fanno parte i manufatti che hanno un valore di tipo artistico, storico, scientifico, ecc.
I luoghi deputati ad accogliere tali oggetti hanno, o dovrebbero avere, requisiti adatti alla conservazione ed all’esposizione: i musei.
L’esposizione deve contribuire alla corretta fruizione dei valori intrinseci degli oggetti, siano essi di tipo emozionale o culturale.
In entrambe i casi l’attuazione degli scopi previsti è in relazione direttamente proporzionale alla quantità di fruitori.
Partendo, quindi, dall’assunto che lo scopo di un’esposizione non si esaurisce nell’azione di mostrare (per la quale, teoricamente, sarebbe necessaria la sola illuminazione di tipo funzionale), si può costatare che le tipologie d’illuminazione precedentemente riassunte, assolvono a delle “funzioni primarie” utili al raggiungimento degli scopi previsti per entrambe le situazioni espositive.
Esiste, tuttavia un particolare tipo di “oggetto” la cui esposizione deve essere considerata a parte: l’opera d’arte.
Se qualche anno fa, all’interno di una mostra permanente d’arte, si fosse compiuto un esame scientifico su una eventuale “aggiunta” d’illuminazione extrafunzionale, si sarebbero accertate delle variazioni ambientali e microclimatiche dovute a diversi fattori quali, ad esempio, le notevoli emissioni spettrali indesiderate e l’inadeguatezza delle caratteristiche dimensionali degli apparecchi destinati al controllo del flusso luminoso emesso dalla fonte.
Oggi le moderne tecnologie illuminotecniche hanno praticamente risolto tali problemi tecnici ma le questioni legate all’estetica, cioè alla concezione filosofica dell’arte sono più dibattute che mai e nonostante in letteratura esistano pregevoli trattati scientifici e filosofici che potrebbero contribuire alla soluzione della questione esaminata, persiste un margine interpretativo insito nell’arte stessa, ovvero la individualità nella percezione dell’opera artistica.
Per cui all’interno di un’esposizione d’arte, escludendo i criteri scientifici di una “corretta illuminazione” di tipo funzionale, ovvero destinata a rendere “otticamente fruibile”, ciò che arbitrariamente discrimina la validità di un’illuminazione, è la filosofia estetica del curatore legata, cioè, alla sua personale visione dell’arte.
Tale discriminante è particolarmente evidente nell’esposizioni d’arte pittorica.
Personalmente credo che ammorbidire l’austerità, la rigidità di qualsiasi esposizione artistica museale, specie quelle di vecchia concezione, può allargare i confini della fruizione verso i meno esperti, ampliando il raggio d’azione della funzione socio/culturale che reputo propria dell’arte.
In ogni caso, a prescindere da mere considerazioni personali, sia in situazioni espositive di tipo artistico che di tipo storico-scientifico, sono da considerare i fattori legati alla fruizione globale del museo che vanno oltre la sola percezione dell’opera d’arte.
Tali fattori impongono un diverso approccio al concetto di esporre e sono determinati dalla funzione socio/economica dei musei che, a torto o a ragione, si è andata delineando nel corso degli anni.
Oggi al museo, oltre all’imprescindibile compito educativo e culturale, viene chiesto di rappresentare un’attrattiva turistica al fine di essere un indotto economicamente rilevante per il territorio.
Entrambe gli scopi sono da attuare attraverso la produzione e la promozione di eventi mirati, di tipo prevalentemente espositivo.
L’atto di recarsi in un museo ha delle implicazioni psicologiche legate alla vista, non a caso è consueto dire andare a “visitare” il museo.
C’è, quindi, una predisposizione “al vedere” maggiore che non in un altro luogo e nelle righe seguenti, tralasciando l’illuminazione di tipo “funzionale” sulla quale necessità non possono esistere dubbi, si cercherà di valutare sommariamente in che modo le “funzioni primarie” dell’illuminazione, basandosi su tale predisposizione, contribuiscono all’attuazione degli scopi museali, anche in mostre d’arte.
E’ noto che uno dei fattori che concorre all’apprendimento non effimero del messaggio che un oggetto o una serie di oggetti esposti intendono comunicare, dipende dal tempo di fruizione, quindi la prima azione da compiere è attrarre l’attenzione del fruitore verso quell’oggetto o quella serie di oggetti.
Con un’adeguata illuminazione “d’accento”, che sfrutta la caratteristica fisiologica dell’occhio di essere attratto dalle disuniformità del campo visivo, tale azione è facilmente attuabile.
Attraverso un’illuminazione “d’ambientazione” come già detto, si può contestualizzare l’oggetto all’interno del proprio ambito di appartenenza, migliorandone la comprensione.
Per le opere d’arte di tipo pittorico, l’ambiente fisico di appartenenza perde di significato, tuttavia si può realizzare con la luce un’atmosfera “diversa” da quella in cui si svolgono le quotidiane attività umane che, come qualsiasi diversità, produce degli stimoli sensoriali in grado di aumentare la percettività e il tempo di attrazione.
Tuttavia, se tale diversità è fortemente connotata, si rischia di sconfinare in un’illuminazione di tipo “decorativo” con ciò che ne consegue.
Contrariamente alle altre, la funzione “decorativa” dell’illuminazione non ha un rapporto di dipendenza con l’oggetto o con il luogo; anzi il luogo e l’oggetto possono diventare tramiti d’attuazione, per cui è connotata da un alto impatto emotivo di tipo autoreferenziale. Per tale ragione attuarla nel campo visivo che coinvolge l’oggetto esposto, potrebbe effettivamente provocare una erronea percezione dell’eventuale contenuto culturale o comunicativo dell’oggetto esposto.
Tuttavia, avendo un valore estetico volto alla gratificazione sensoriale, se realizzata in zone non espositive, (ad esempio foyer, zone di passaggio, ecc.) può predisporre al miglior godimento dell’esposizione.
Inoltre l’illuminazione decorativa, specie quando diventa di tipo architetturale, rappresenta uno dei mezzi più efficaci per creare una forte attrazione visiva che può stimolare la curiosità dei potenziali fruitori e, contemporaneamente, manifestare la presenza e l’operatività della situazione espositiva.
Il carattere autoreferenziale dell’illuminazione decorativa se da una parte consente la piena creatività del light designer, dall’altra potrebbe indurre a spiacevoli eccessi, non solo dal punto di vista del risultato ottenuto, ma anche dalla quantità e qualità degli apparecchi d’illuminazione utilizzati.
Ciò può accadere specialmente per quelli ad alto contenuto estetico e tecnologico, tanto che essi stessi divengono involontariamente “oggetti esposti”.